martedì 12 luglio 2011

Disponibile il volume "Quando il medico parla arabo"

Non è semplice intraprendere un percorso di integrazione in un paese straniero, soprattutto per quanti fuggono dal proprio paese in seguito a persecuzioni o guerre, senza un’adeguata pianificazione del proprio percorso migratorio. Ancor più complesso è riuscire ad avvalersi di saperi e di competenze acquisite nel paese d’origine. Troppo spesso gli ostacoli che si incontrano in questo cammino – unitamente alla struttura del sistema economico del paese di accoglienza – danno vita  a forme di inclusione che ricalcano schemi ghettizzanti e gerarchici, relegando i migranti nei settori e nelle mansioni più dequalificati e marginali del mondo del lavoro.
Quando il medico parla arabo indaga una questione che riveste un ruolo centrale in questo processo: il riconoscimento di titoli di studio e qualifiche professionali dei titolari di protezione internazionale. A partire dall’interlocuzione con i diversi stakeholders, dall’analisi della normativa in vigore, da una ricognizione dei diritti esigibili e delle prassi internazionali in materia, la ricerca evidenzia criticità e ostacoli che si frappongono alla realizzazione del percorso di riconoscimento, avanzando ipotesi operative relative alle possibili soluzioni da implementare; piccoli passi che potrebbero contribuire al raggiungimento dell’obiettivo più importante: la strutturazione di un sistema integrato che consenta ai titolari di protezione internazionale di accedere ad una reale e piena integrazione lavorativa, economica e – a conti fatti – sociale.

Il volume è disponibile presso la casa editrice Sviluppolocale e sarà presto disponibile per il download sul sito http://www.sviluppolocaleedizioni.org/


E' intoltre disponibile il Vademecum per il riconoscimento dei titoli di studio dei titolati di protezione internazionale. Clicca qui per scaricarlo.

giovedì 7 luglio 2011

I materiali della conferenza finale

La conferenza del 30 giugno "Quando il medico parla arabo" ha visto la partecipazione di una platea informata e interessata, ed è risultata una preziosa occasione di scambio e arricchimento tra gli attori territoriali.
Ringraziando i relatori e tutti coloro che sono intervenuti, pubblichiamo qui le slides di alcuni contributi:

ProRiTiS: struttura e obiettivi del progetto a cura di Giulia Rellini

Il riconoscimento di titoli e qualifiche dei TPI: la normativa a cura di Daniela Branciaroli

Le esperienze sul territorio: prassi, criticità e proposte a cura di Laura Giacomello

Uno sguardo alla sperimentazione: difficoltà e prospettive dei TPI qualificati a cura di Lucia Tormen

Presentazione dello sportello A Pieno Titolo a cura di Juri Di Molfetta e Chiara Maugeri

lunedì 27 giugno 2011

Quando il medico parla arabo

Conferenza finale del progetto ProRiTiS

In Italia i titolari di protezione internazionale (TPI) – rifugiati politici, titolari di protezione sussidiaria, titolari di permesso per motivi umanitari – sono 55mila (UNHCR, 2009). I dati del Sistema di protezione per TPI ci informano che tra le persone in accoglienza, quasi una su tre è arrivata in Italia con un titolo di formazione superiore, una laurea (7%) o un diploma (24%). Eppure, il loro inserimento sociale e lavorativo nel paese appare ancora rispondere alla logica dell'integrazione subalterna, in posizioni occupazionali e retributive dequalificate e dequalificanti.

Come può oggi chi chiede e riceve asilo in Italia far valere le proprie qualifiche e cercare di costruirsi un percorso professionale adeguato al proprio bagaglio di studi e competenze? Come può dare seguito agli studi interrotti a causa delle guerre e delle persecuzioni che lo hanno indotto alla fuga? E come può l'Italia valorizzare le intelligenze, i saperi, le competenze dei titolari di protezione internazionale?

Il progetto ProRiTiS – Programma pilota sulle Procedure di Riconoscimento dei Titoli di Studio dei TPI, realizzato da Associazione Parsec, ASGI, Coop. CoGeS e Consorzio Nova – ha esplorato i percorsi, gli ostacoli, le potenzialità del sistema di riconoscimento dei titoli di studio per i TPI. E' stata condotta un'indagine nazionale, basata su 96 interviste a referenti dei Ministeri e delle Università, a operatori dei servizi territoriali e delle organizzazioni internazionali, e naturalmente agli stessi TPI, protagonisti di vicende burocratiche dalle tempistiche incerte e dall'esito mai garantito. E' stata analizzata la normativa italiana e internazionale, in cerca di proposte che rendano effettive le garanzie contenute nella Convenzione di Lisbona, che prevede per i TPI procedure che agevolino il riconoscimento “anche nei casi in cui i titoli di studio […] non possano essere comprovati da relativi documenti”. E' stata avviata una sperimentazione per il riconoscimento dei titoli, con il coinvolgimento di un gruppo di TPI desiderosi di impiegare le loro lauree e diplomi ottenuti nei paesi di origine per la formazione superiore o l'esercizio della professione.

E’ stato inoltre condotto un percorso di concertazione con diversi stakeholders - referenti di enti istituzionali e servizi coinvolti nella gestione delle procedure di riconoscimento di titoli e qualifiche - che ha portato alla elaborazione di una bozza di Protocollo di Intesa e alla progettazione di un sistema informativo, strumenti per la semplificazione amministrativa e gestionale delle procedure stesse.

Intorno a questo tema e ai risultati di ProRiTiS, il 30 giugno alle 14.30 a Palazzo Valentini interverranno Pier Paolo Savio del Ministero degli Affari Esteri, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Daniela Di Capua dello SPRAR, Carlo Finocchietti del CIMEA, Juri Di Molfetta e Chiara Maugeri del servizio “A Pieno Titolo” di Torino, e i responsabili delle attività di ricerca e intervento realizzate dal progetto: Giulia Rellini e Laura Giacomello dell'Associazione Parsec, Daniela Branciaroli dell'ASGI, Lucia Tormen della Cooperativa Coges. I lavori si apriranno con i saluti istituzionali dell'Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, Claudio Cecchini.

L’incontro costituirà inoltre l’occasione di ragionare insieme sul tema dell’integrazione sociale e lavorativa dei TPI e sulle possibili azioni future che possano contribuire – sviluppando un approccio di rete – a raggiungere tale obiettivo, in un momento storico in cui sembra ragionevole ipotizzare un incremento delle richieste di protezione da parte di donne e uomini costretti a fuggire dalla propria terra d’origine (si pensi alle rivoluzioni in Egitto e nel Maghreb e soprattutto agli effetti che la guerra in Libia sta producendo sui flussi migratori che interessano il Mediterraneo) e che è al contempo caratterizzato da una crisi economica profonda nel paese di “accoglienza”. Appare infatti fondamentale, in questa fase storica, avviare un ragionamento strutturato e condiviso su quale modello di integrazione costruire in Italia, che sia capace di superare una logica emergenziale e assistenzialistica e che punti invece a valorizzare risorse e capacità strutturali, organizzative e dei singoli.

Quando il Medico Parla Arabo

Giovedì 30 giugno 2011

ore 14.30-19.00

Sala della Pace – Palazzo Valentini

Via IV Novembre 119/a Roma

venerdì 24 giugno 2011

Conferenza finale del progetto ProRiTis

Quando il Medico Parla Arabo
Il riconoscimento delle qualifiche dei titolari di protezione internazionale

Progetto ProRiTiS

Progetto co-finanziato dall’Unione Europea e
dal Ministero dell’Interno
Fondo Europeo per i Rifugiati - AP 2009 Azione 1.a

In Italia i titolari di protezione internazionale (TPI) – rifugiati politici, titolari di protezione sussidiaria, titolari di permesso per motivi umanitari – sono 55mila. Di questi, quasi 1 su 3 è arrivato in Italia con un titolo di formazione superiore, una laurea (7%) o un diploma (24%). Eppure, il loro inserimento sociale e lavorativo nel paese appare ancora rispondere alla logica dell'“integrazione subalterna”, in posizioni occupazionali e retributive dequalificate e dequalificanti.
Come può oggi chi chiede e riceve asilo in Italia far valere le proprie qualifiche e cercare di costruirsi un percorso professionale adeguato al proprio bagaglio di studi e competenze? Come può dare seguito al desiderio di proseguire gli studi interrotti a causa delle guerre e delle persecuzioni che lo hanno indotto alla fuga? E come può l'Italia valorizzare le intelligenze, i saperi, le competenze dei titolari di protezione internazionale?
ProRiTiS – Programma pilota sulle Procedure di Riconoscimento dei Titoli di Studio dei TPI, realizzato da Associazione Parsec, ASGI, Coop. CoGeS e Consorzio Nova – ha voluto esplorare i percorsi, gli ostacoli, le potenzialità del sistema di riconoscimento dei titoli di studio per i TPI. E' stata condotta un'indagine nazionale, basata su 96 interviste a referenti dei Ministeri e delle Università, a operatori dei servizi territoriali e delle organizzazioni internazionali, e naturalmente agli stessi TPI, protagonisti di vicende burocratiche dalle tempistiche incerte e dall'esito mai garantito. E' stata analizzata la normativa italiana e internazionale, in cerca di proposte che rendano effettive le garanzie contenute nella Convenzione di Lisbona, che prevede per i TPI procedure che agevolino il riconoscimento “anche nei casi in cui i titoli di studio [] non possano essere comprovati da relativi documenti”. E' stata avviata una sperimentazione per il riconoscimento dei titoli, con il coinvolgimento di un gruppo di TPI desiderosi di impiegare le loro lauree e diplomi ottenuti nei paesi di origine per la formazione superiore o l'esercizio della professione.
E’ stato inoltre condotto un percorso di concertazione con diversi stakeholders - referenti di enti istituzionali e servizi coinvolti nella gestione delle procedure di riconoscimento di titoli e qualifiche - che ha portato alla elaborazione di una bozza di Protocollo di Intesa e alla progettazione di un sistema informativo, strumenti per la semplificazione amministrativa e gestionale delle procedure stesse.

Intorno a questo tema e ai risultati di ProRiTiS, il 30 giugno alle 14.30 a Palazzo Valentini interverranno Pier Paolo Savio del Ministero degli Affari Esteri, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Daniela Di Capua dello SPRAR, Carlo Finocchietti del CIMEA, Juri Di Molfetta e Chiara Maugeri del servizio “A Pieno Titolo” di Torino, e i responsabili delle attività di ricerca e intervento realizzate dal progetto: Giulia Rellini e Laura Giacomello dell'Associazione Parsec, Daniela Branciaroli dell'ASGI, Lucia Tormen della Cooperativa Coges. Apriranno i lavori l'Assessore Claudio Cecchini e un rappresentante del Ministero dell'Interno.

L’incontro costituirà inoltre l’occasione di ragionare insieme sul tema dell’integrazione sociale e lavorativa dei TPI e sulle possibili azioni future che possano contribuire – sviluppando un approccio di rete – a raggiungere tale obiettivo, in un momento storico in cui sembra ragionevole ipotizzare un incremento delle richieste di protezione da parte di donne e uomini costretti a fuggire dalla propria terra d’origine (si pensi alle rivoluzioni in Egitto e nel Maghreb e soprattutto agli effetti che la guerra in Libia sta producendo sui flussi migratori che interessano il Mediterraneo) e che è al contempo caratterizzato da una crisi economica profonda nel paese di “accoglienza”. Appare infatti fondamentale, in questa fase storica, avviare un ragionamento strutturato e condiviso su quale modello di integrazione costruire in Italia, che sia capace di superare una logica emergenziale e assistenzialistica e che punti invece a valorizzare risorse e capacità strutturali, organizzative e di ciascun singolo.

Quando il Medico Parla Arabo
Giovedì 30 giugno 2011
ore 14.30-19.00
Sala della Pace – Palazzo Valentini
Via IV Novembre 119/a Roma

martedì 21 giugno 2011

Storia del Signor C, laureato in Agraria

Per il Signor C la priorità è “sistemarsi”*. Ancora ospite in un Centro di Accoglienza, vuole al più presto trovare casa e lavoro per potersi ricongiungere con la propria famiglia, la moglie e due figli che erano piccoli, quando si son visti l’ultima volta più di 3 anni fa.
Gli avevamo consigliato di procurarsi la Dichiarazione di Valore, della sua Laurea di Primo Livello in Agraria – sarà questa la denominazione italiana di quello che a voce ci ha detto di aver studiato? -
Così lui si era mosso in questo senso, attivando la propria rete nel Paese di origine, affinché qualcuno si recasse presso l’Ambasciata con il suo documento originale per richiedere la Dichiarazione di Valore. Un grave errore che non avremmo commesso se all’epoca avessimo saputo ciò che sappiamo ora: è molto più veloce, sicuro ed economico far spedire solo il titolo in originale, e poi richiedere la Dichiarazione di Valore tramite gli uffici del Ministero degli Affari Esteri. Purtroppo così ci siamo incagliati in spese eccessive e tempistiche poco prevedibili. Ci vogliono quasi due mesi prima che i documenti siano pronti. Ci spiega che la persona incaricata di seguire la pratica nel Paese di origine non abita vicino alla città dove risiede l’Ambasciata. E ciò allunga i tempi –e i costi? –
La semplice spedizione dei documenti presentati in loco tramite l’Ambasciata è una via che non può essere percorsa – avremmo dovuto farci spedire l’originale e poi richiedere la Dichiarazione di Valore tramite il MAE –
Il momento cruciale si avvicina. Allo stato attuale del percorso, il Signor C ha alle spalle una spesa di circa 300 euro, e sta per ricevere gli ambiti documenti. E’ ora quindi di domandarsi: “e poi?”.
Ci chiede se l’ipotesi di continuare a studiare sia realistica o meno. Una domanda alla quale non possiamo rispondere: i costi dell’iscrizione universitaria sono imprevedibili, chiedendo in questo periodo l’equipollenza, dovremmo sapere entro settembre quanti crediti formativi vengono decurtati dal programma di studio, o se può iscriversi direttamente ad una laurea magistrale. Il Master nel caso del Signor C è fuori discussione, a causa dei costi. Il riconoscimento del titolo gli serve per trovare un lavoro che gli serve per mantenere la sua famiglia ora che sta per chiedere il ricongiungimento, non può diventare una spesa troppo onerosa.
Il Signor C nel frattempo sta cercando una casa adatta ad ospitare 4 persone, dovrà reperire tutte le informazioni che riguardano la scuola, per i suoi figli. Durante l’ultimo colloquio confessa di riflettere, ultimamente, sull’opportunità di seguire un corso serale presso un Istituto Tecnico. Un Diploma, insomma, mi spiega con sguardo interrogativo. 

* Storia raccolta nell'ambito della sperimentazione di Venezia

La storia del Signor A, Ingegnere

Il Signor A ha le idee molto chiare rispetto al proprio futuro, o almeno rispetto a quello che può o non può ottenere con le proprie credenziali*. Laureato in Ingegneria, in Italia da quasi 2 anni, parla un buon italiano – che vantaggio – ed ha già sostenuto l’esame di Terza Media. Lavora, non nel proprio settore, ma gode di una certa tranquillità.
Nel periodo che ha trascorso in un Centro di accoglienza, si è dedicato all’apprendimento della lingua e alla richiesta nel proprio Paese di origine di alcuni documenti preziosi. Ha già con sé la Dichiarazione di Valore, l’elenco degli esami sostenuti in traduzione legalizzata, il certificato di Laurea in traduzione legalizzata, e 13 attestati giunti via fax che attestano la partecipazione a corsi di aggiornamento effettuati durante gli anni in cui ha lavorato. 11 di questi sono in inglese, 2 nella lingua madre. L’ottenimento di questi documenti gli è costato circa 300 euro. Ora dobbiamo farli fruttare.
Decidiamo insieme di procedere su 2 fronti: il primo riguarda la possibilità di vedersi riconosciuto il titolo professionale dal Ministero, il secondo richiedere l’equipollenza presso l’Università, e poi decidere se la parte integrativa che verrà proposta è sostenibile, oppure se è preferibile iscriversi direttamente ad un Master.
Il nostro viaggio parte a febbraio 2011. Ci richiede più o meno un mese di tempo, l’ottenere sia dal Ministero competente che dall’Università le informazioni dettagliate che ci servono per verificare la completezza dei documenti. E questo perché dobbiamo incrociare le disponibilità, a livello di tempi e orari, degli organi interpellati e dell’interessato. Poi c’è il tempo tecnico che può servire ad una persona che padroneggia l’italiano standard ma non quello legato alla burocrazia, per decifrare le risposte ottenute, districarsi nel mare di documenti richiesti, capire ad esempio presso un tribunale se il certificato penale richiesto è l’atto notorio, se il fatto che valga per l’Italia e non per il Paese di origine è un problema. Il certificato penale serve per richiedere il riconoscimento professionale, dovrebbe essere rilasciato dall’autorità competente nel Paese in cui è stato acquisito il titolo professionale. Certo per un Rifugiato Politico sarebbe una richiesta contraddittoria…
Allo stato attuale del nostro viaggio, attendiamo dal Paese di origine un documento che attesti che il Signor A ha lavorato per più di due anni per l’azienda XX, e con quali mansioni. Dei 13 attestati, poiché non è in possesso degli originali, azzarderemo una traduzione, che non potremo autenticare e che quindi avrà valore informativo – avrà valore? – e che allegheremo alla domanda. L’impressione in alcuni momenti è di giocare una partita senza conoscere bene le regole del gioco. “Ogni caso è a sé” è una delle risposte che riceviamo più frequentemente, quando cerchiamo di capire se ha senso spedire dei documenti in fotocopia con una traduzione casalinga.
Per quanto riguarda la richiesta di equipollenza, la domanda è stata inoltrata all’Università. Manca la descrizione dei programmi dei vari corsi, stiamo pensando a come fare per ottenere un documento che spesso nelle università extra Europee non esiste.
Il Signor A nel frattempo lavora, fa un lavoro che non ha nulla a che vedere con l’ingegneria, lavora con la mediazione. E riflette. Forse un Master potrebbe essere più qualificante e semplice da seguire. Un preventivo delle spese universitarie è impossibile, si saprà solo dopo l’eventuale iscrizione a quanto ammonta la spesa annuale.
Nel frattempo il Signor A ha cambiato città, forse nella nuova città troverà altre opportunità, ancora una volta completamente diverse da quello che stava cercando.

* Storia raccolta nell'ambito della sperimentazione di Venezia

Percorsi di riconoscimento: la sperimentazione di Venezia

Nell’ambito del progetto Proritis è stata attivata dalla cooperativa Coges di Venezia una sperimentazione di percorsi di riconoscimento di titoli di studio con un gruppo di TPI. Pubblichiamo un resoconto dell’esperienza.

Il gruppo dei TPI

La sperimentazione ci ha portati ad entrare in contatto con 7 Titolari di Protezione Internazionale (TPI) che avevano precedentemente espresso il desiderio di veder riconosciuto il proprio titolo di studio. La scelta dei casi è stata fatta optando per uno spettro di situazioni che fosse il più ampio possibile, negli obiettivi e nelle condizioni di partenza. La definizione di questi due elementi fondamentali non è stata semplice.

Le condizioni di partenza

Nella rilevazione dei dati riguardanti la scolarizzazione, non è immediato il passaggio da titoli di studio conseguiti nel Paese di origine e corrispondente titolo italiano. La situazione si complica ulteriormente perché è soggetta a variabili che non possiamo trascurare: l’utente che abbiamo di fronte conosce il sistema scolastico italiano? E la denominazione dei titoli? Possiamo affermare con certezza a che titolo italiano corrisponda quello da lui posseduto, sulla base del semplice racconto che ci viene fatto?
Questi dubbi vengono sciolti se il TPI è già in possesso della Dichiarazione di Valore e vengono in parte chiariti se è in possesso del titolo, in originale o in fotocopia, meglio se in una lingua che non richieda l’intervento di un traduttore. Se poi il titolo corrisponde ad un diploma superiore, questi passaggi possono essere demandati all’Ufficio Scolastico Provinciale di competenza. Se il titolo corrisponde ad una laurea, dobbiamo sperare che il suo possessore abbia una certa dimestichezza con le università italiane e i vari corsi di laurea.
I primi fondamentali colloqui sono stati interamente dedicati a questo confronto, al racconto, alla visione dei documenti posseduti, alla richiesta di procurarne di integrativi.
In questo lungo momento di gestazione, e da quanto emerso dai colloqui, si è fatta chiara per i TPI coinvolti, l’esigenza di una nuova definizione di sé, rispetto a ciò che erano “prima” (es. “ero ingegnere”): una ridefinizione della propria identità non in assoluto, ma in relazione all’attuale condizione.

Gli obiettivi

Da qui è scaturita la seconda importante questione: quella riguardante l’obiettivo. La sua definizione ha un aspetto identitario da un lato, e funzionale dall’altro, quasi utilitaristico. Al più vago “vorrei migliorare le mie condizioni di vita” possiamo qui affiancare l’aspetto pragmatico del “avere riconosciuto il mio titolo mi aiuterà a trovare lavoro”. In alcuni casi, quando le difficoltà incontrate durante il percorso sono state valutate troppo elevate rispetto alla possibilità realistica di riuscita del progetto – “trovare lavoro” in questo caso – il percorso è stato abbandonato. Si tratta di 3 casi su 7, nello specifico di un diploma di scuola superiore (in formato pdf, nell’impossibilità di contattare il paese di origine, dove nemmeno l’Ambasciata italiana ha più sede), di un diploma tecnico (non reperibile, sono invece in mano del TPI alcuni documenti in fotocopia, in lingua inglese, che testimoniano la sua attività lavorativa nel settore), una laurea in Agraria (non reperibile, il TPI ha con sé la fotocopia del certificato di iscrizione all’Università).
Oltre alla complessità del percorso e ai tempi necessari, la mole di documentazione da produrre e la mancanza di documenti in originale ha scoraggiato la prosecuzione. Va detto inoltre che di questi 3 casi, 2 sono TPI in fase di sgancio da un Centro di Accoglienza, e quindi con l’esigenza di trovare una sistemazione abitativa e lavorativa adeguata, e uno è padre di famiglia con esigenze quotidiane molto pressanti.
Gli altri 4 casi riguardano TPI in possesso di lauree, con una forte motivazione al riconoscimento, anche parziale, del loro percorso scolastico precedente. Un caso viene abbandonato per totale mancanza di documenti, il TPI già da anni in Italia dichiara di voler comunque tentare il riconoscimento dopo aver ottenuto la cittadinanza, quando gli sarà possibile contattare l’Ambasciata italiana da cittadino italiano. Due richieste di equipollenza sono già state presentate presso due diverse università: una per una laura in Ingegneria, completa in tutta la documentazione; verrà inoltrata anche domanda di riconoscimento professionale presso il Ministero. La seconda è stata presentata ma con i documenti ricevuti solo via fax: l’obiettivo è la prosecuzione degli studi in Economia.
Per quanto riguarda l’ultimo caso, una laurea di primo livello in Agraria, il TPI è in attesa della Dichiarazione di Valore che già aveva chiesto autonomamente nel Paese di Origine. La prosecuzione di questo percorso è strettamente collegata alle condizioni lavorative e economiche al momento della ricezione dei documenti.

L’esperienza di accompagnamento

L’esperienza di accompagnamento in questi percorsi, ha per ora messo in luce alcuni dati importanti:
  • le molte difficoltà legate alla procedura stessa, prima fra tutte la mancanza spesso totale o parziale della documentazione richiesta in originale, seguono poi tempi, costi, carenza di informazioni accessibili o di chiarezza anche linguistica delle informazioni
  • la fondamentale presenza da un lato di operatori e personale adeguatamente formato in proposito, che possano guidare il TPI in modo efficace, e dall’altro di opuscoli informativi facilmente fruibili anche dai TPI stessi.
  • la mancanza di una rete nazionale di scambio di informazioni e buone pratiche, che permetterebbe di portare a termine altrove un percorso iniziato in una città, vista l’alta mobilità che caratterizza i TPI.
Per quanto riguarda gli esiti delle sperimentazioni ancora in corso, attendiamo i tempi tecnici delle università, per poi valutare in base alle risposte ottenute l’effettiva sostenibilità della prosecuzione degli studi.

venerdì 29 aprile 2011

Costruire un Protocollo di Intesa: un percorso complesso dai passaggi obbligati

La definizione di un Protocollo d’Intesa da sottoporre alle diverse Autorità competenti, per facilitare lo svolgimento delle pratiche per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali dei titolari di protezione internazionali, è un’operazione complessa e delicata.
Il Progetto PRORITIS sino ad oggi ha compiuto diversi passaggi per raggiungere l'ambizioso obiettivo. Il processo di costruzione della prima bozza di Protocollo d’Intesa ha infatti tenuto insieme: l’analisi della normativa di riferimento, un confronto con i sistemi adottati in altri Paesi UE per agevolare i titolari di protezione internazionale nel’espletamento di tali procedure, l’analisi dei diritti esigibili, nonché la ricognizione delle prassi territoriali esistenti nel nostro Paese.
Attraverso questo approccio multidisciplinare – che ha saputo coniugare saperi delle scienze sociali e delle scienze giuridiche - i partner del progetto hanno quindi prodotto una prima bozza di Protocollo, avanzando diverse proposte operative in grado di attenuare le criticità presenti allo stato attuale, pur rimanendo in linea con il quadro normativo esistente. In particolare, la proposta avanzata fa perno sulla Convenzione di Lisbona, sottoscritta anche dal nostro Paese, che prevede l’adozione da parte degli Stati firmatari di «tutti i provvedimenti possibili e ragionevoli» in materia di riconoscimento dei titoli di studio per i titolari di protezione internazionale, anche nel caso in cui tali titoli «non possano essere comprovati da relativi documenti».
La prima bozza elaborata si rivolge alle diverse Autorità competenti, ed in particolare a Ministeri e Università, invitando all’assunzione di impegni concreti per facilitare, nelle procedure di riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali, i titolari di protezione internazionale sprovvisti di documentazione originale. Più specificamente, il protocollo si concentra sui casi relativi al proseguimento degli studi, e quindi al riconoscimento dei titoli di studio.
Il passaggio successivo nel percorso di costruzione del Protocollo ha portato all’incontro tra il parere tecnico dei soggetti attuatori del progetto con la valutazione politica del Ministero dell’Interno. A partire da questo incontro, quindi, è stata prodotta una seconda bozza di Protocollo, in cui risulta attenuata l’intensità dell’impegno richiesto alle diverse parti chiamate in causa, al fine di facilitare la valutazione e la verifica delle proposte avanzate.
L’incontro del 13 aprile u.s. ha visto ampliarsi ulteriormente il confronto: i partecipanti – Ministeri, Università, enti di tutela - hanno potuto confrontare la prima bozza di Protocollo – ricevuta via mail – con la seconda ipotesi – vagliata dal Ministero e presentata in sede di discussione, esprimendo pareri, osservazioni ed obiezioni.
L’èquipe del progetto sta attualmente raccogliendo via mail ulteriori sollecitazioni e feed back da tutti gli attori invitati ai tavoli di concertazione, al fine di produrre un’ulteriore ipotesi di Protocollo che integri tutte le sollecitazioni in un’ottica di progettazione partecipata. Per contribuire alla definizione del documento finale, vi invitiamo a prendere visione delle due bozze di Protocollo di Intesa e ad inviarci i vostri commenti e suggerimenti.
Chiaramente, il percorso non si chiuderà qui: il Protocollo, per divenire realmente uno strumento operativo, andrà sottoposto alle Autorità competenti per l’approvazione e sperimentato sul campo, per verificarne eventuali fragilità e sottoporlo in tal caso a ulteriori revisioni.

giovedì 21 aprile 2011

Verso il rafforzamento della rete: una proposta di Protocollo d’Intesa

Foto di rubicon
Con il secondo incontro di concertazione del progetto Pro.Ri.Ti.S., il 13 aprile, è stato compiuto un altro passo verso il potenziamento dell'azione di rete per l'accompagnamento dei titolari di protezione internazionale nelle procedure di riconoscimento di titoli di studio e qualifiche professionali. La partecipazione è stata numerosa, con la presenza di rappresentanti di Ministeri competenti (Ministero degli Affari Esteri, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero del Lavoro, Ministero della Giustizia, Ministero della Salute e Ministero dell’Interno),Università (Firenze, Udine, Trieste, Roma “Tor Vergata”, Roma “La Sapienza”, Roma “Roma Tre”),associazionismo di settore (Servizio A Pieno Titolo della Cooperativa Parella di Torino, Centro Astalli di Roma, Centro Studi Immigrazione di Roma, Centro Polifunzionale della Cooperativa Il Cenacolo di Firenze, Consorzio Co&So di Firenze, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Programma Integra di Roma, Arciconfraternita del SS. Sacramento e S. Trifone di Roma, Collegio IPASVI di Firenze) e organizzazioni internazionali (OIM – Organizzazione Internazionale per l’Immigrazione). La Viceprefetto Marta Matscher ha aperto i lavori, coordinati dai responsabili degli enti partner del progetto, Parsec e ASGI. L’obiettivo principale dell’incontro era la presentazione e discussione di una bozza di Protocollo d'Intesa tra amministrazioni ed enti competenti, elaborato dai partner in seguito all’analisi della normativa e dei risultati della ricerca di campo, in un incontro fecondo tra saperi giuridici e saperi delle scienze sociali. Il Protocollo – dettagliatamente illustrato da Salvatore Fachile dell’ASGI - è un documento con il valore di proposta, pertanto aperto al contributo dei partecipanti, invitati direttamente a commentare gli articoli segnalando la propria posizione di consenso/dissenso e illustrando le proprie considerazioni.
La proposta formulata vede al centro la possibilità di applicare ai percorsi di riconoscimento dei titoli di istruzione superiore la sezione della Convenzione di Lisbona che dispone che «Ogni Parte, nell’ambito del proprio sistema di istruzione e in conformità con le proprie disposizioni costituzionali, giuridiche e normative, adotterà tutti i provvedimenti possibili e ragionevoli per elaborare procedure atte a valutare equamente ed efficacemente se i rifugiati, i profughi e le persone in condizioni simili a quelle dei rifugiati soddisfano i requisiti per l’accesso all’insegnamento, a programmi complementari di insegnamento superiore o ad attività lavorative, anche nei casi in cui i titoli di studio rilasciati da una delle Parti non possano essere comprovati da relativi documenti » (art. 26). L’idea è che – limitatamente al caso di chi desideri proseguire gli studi – si possa procedere come segue:
- per chi dispone del titolo: applicazione attenuata dei criteri di valutazione, dispensando il richiedente, dove possibile, dalla produzione della documentazione integrale (es. programmi degli esami sostenuti…).
- per chi non dispone materialmente del titolo: valutare l'opportunità di sostituire il titolo con una attestazione giurata dalla quale risulti l’indicazione dettagliata della denominazione della facoltà o dell’istituto frequentato, della denominazione del corso di studi, della data, del punteggio e del titolo conseguito, dei singoli esami, delle singole prove di idoneità, delle date e delle votazioni e degli eventuali crediti conseguiti.
L’applicazione attenuata dei sistemi di valutazione è una prassi già in parte adottata dagli Atenei, come emerge dalla ricerca condotta da Parsec sul territorio italiano e come hanno ricordato, tra i presenti, le rappresentanti dell'Università di Firenze. Per quanto riguarda l’attestazione giurata, il Protocollo prevede che le autorità competenti possano verificarne la veridicità e l'attendibilità richiedendo, eventualmente, agli organismi o enti di tutela dei titolari di protezione internazionale di assumere informazioni specifiche ovvero di esprimere un giudizio in merito. Gli ideatori hanno inoltre sottolineato come ulteriori garanzie, contro l'ipotesi di false dichiarazioni, provengano dalla responsabilità penale per il dichiarante, dalla complessità contenuta nella ricostruzione dettagliata dei percorsi di studio e dal fatto che, essendo una misura prevista solo per la prosecuzione degli studi, il falso diploma sarebbe invalidato dall'impossibilità di sostenere effettivamente gli esami di profitto.
La proposta ha incontrato qualche perplessità e resistenza ma anche numerose espressioni di entusiasmo, specialmente da parte di chi si trova frequentemente a dover aggirare l'ostacolo della documentazione manchevole o parziale, come gli uffici stranieri delle Università e – in fase di emersione della domanda – i servizi territoriali. Il Protocollo ipotizza inoltre l'impegno delle amministrazioni su azioni di supporto, una volta verificata la disponibilità di risorse finanziarie interne o esterne: predisposizione di materiale informativo omogeneo, sportello unico di orientamento, portale web, attività di formazione, networking... Punti rispetto a cui in sede di discussione non sono stati evidenziati ostacoli.
L'ultima parte della giornata di lavori è stata dedicata alla descrizione del progetto di sistema informativo, già avviata nell'incontro precedente. Anche su questo i partecipanti sono stati invitati a esprimere opinioni e suggerimenti. L'appuntamento si è quindi chiuso con la promessa, da parte dei coordinatori di Pro.Ri.Ti.S., di un'elaborazione delle proposte e dei rilievi critici pervenuti attraverso la scheda appositamente distribuita, insieme a quelli che vorranno pervenire successivamente, affinché sia lo strumento del Protocollo d'Intesa sia l'ideazione del sistema informativo diventino il frutto della più ampia e feconda partecipazione e condivisione.

lunedì 11 aprile 2011

La ricerca sul campo: ecco i risultati

Dopo una vasta ricognizione sul campo e l’analisi dei materiali raccolti, l’équipe di ricerca del progetto Pro.Ri.Ti.S. intende condividere con tutti gli interessati una sintesi dei principali risultati.
A questo lavoro - che corrisponde a un report intermedio del progetto - seguirà, a chiusura delle attività, un rapporto più vasto e approfondito, con presentazione dettagliata delle ipotesi di ricerca, dei dati raccolti e dei risultati dell'analisi.

Nella presentazione in formato PowerPoint realizzata dall’Associazione Parsec sono trattati i seguenti argomenti:

Aspetti metodologici
Le dimensioni del fenomeno
I percorsi considerati
Gli attori
Ministero degli Affari Esteri
Rappresentanze diplomatiche
Ministeri
Università
Uffici Scolastici Provinciali
Servizi
TPI
Gli studi di caso: Roma, Milano, Torino

Clicca qui per vedere la presentazione.
Potete comunicarci le vostre considerazioni lasciando un commento a questo post o inviando una e-mail all'indirizzo proritis@gmail.com

mercoledì 23 marzo 2011

Norme e procedure: l'analisi dell'ASGI sulla legislazione

Siamo lieti di pubblicare la prima sintesi dell’analisi normativa condotta da ASGI nell’ambito delle attività del progetto Pro.Ri.Ti.S. Si tratta di una prima forma di restituzione che vi invitiamo a visionare e a commentare. Nel documento, troverete indicazioni specifiche sulla normativa che regola il riconoscimento dei titoli di studio ed un primo approfondimento sulle procedure da seguire. In particolare, vengono descritte norme e prassi relative a:

1. il riconoscimento dei titoli finali conseguiti in scuole corrispondenti alle scuole secondarie di primo e secondo grado (scuole medie e superiori);
2. il riconoscimento dei titoli accademici (lauree);
3. il riconoscimento delle qualifiche professionali;
4. il riconoscimento per finalità non accademiche dei titoli di studio (partecipazione a concorsi, iscrizione a percorsi formativi, etc.);
5. il riconoscimento dei dottorati.

Per consultare la sintesi in formato PowerPoint cliccate qui.

mercoledì 16 marzo 2011

Dalla ricerca all'azione: sistema informativo e protocollo d'intesa

foto di auxesis
Nel mese di marzo il progetto Pro.Ri.Ti.S. entra in una fase nuova, passando dalla ricerca all’azione. La prima fase ha visto al lavoro un’équipe multidisciplinare di ricercatori (dell’Associazione Parsec e di Asgi) per una ricognizione su tutto il territorio nazionale rispetto a norme, procedure, prassi, servizi e reti per il riconoscimento di titoli di studio per i destinatari di protezione internazionale. Ora, sulla base della cospicua mole di dati e informazioni raccolte con la ricerca, si procede verso l’obiettivo finale : la realizzazione di un programma pilota che porti ad un miglioramento del sistema di riconoscimento dei titoli di studio dei TPI, attraverso l'analisi delle criticità esistenti, la diffusione di informazioni sui servizi e sulle procedure da seguire e l'individuazione di soluzioni funzionali a un rapido svolgimento delle pratiche.
A questo fine, per favorire l’emersione di visioni condivise, criticità e proposte, il 2 marzo si è tenuto, presso il Ministero dell’Interno, un primo incontro di concertazione, teso all’ideazione di un sistema informativo per l’analisi e l’archiviazione delle domande di riconoscimento dei titoli di studio dei TPI, uno strumento che agevoli le procedure per i beneficiari ma anche il lavoro dei diversi soggetti coinvolti nell’espletamento delle pratiche.
L’incontro ha visto la partecipazione dei rappresentanti del Ministero dell’Interno, dei Ministeri competenti per le procedure di riconoscimento (Ministero degli Esteri, MIUR, Ministero della Salute, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro), del Servizio Centrale SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), del CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (ACNUR), dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), del Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche (CIMEA), della Federazione Collegi Infermieri (IPASVI) di Firenze, di organizzazioni pubbliche e del Terzo Settore (Parsec, Asgi, Arciconfraternita, Cooperativa OASI 2, Cooperativa Parella, Cooperativa Il Cenacolo, CSI Torreangela). L’incontro è stato aperto dal viceprefetto Martha Matscher che ha presentato alla platea finalità e modalità operative dei Fondi FER.
L’idea di un sistema informativo, ha spiegato Pier Paolo Inserra, Presidente dell’ente capofila del progetto (Associazione Parsec), «nasce dall’esigenza di ridurre la frammentazione dei dati, delle conoscenze e delle competenze». L’obiettivo è mettere a disposizione dei responsabili delle decisioni operative tutte le informazioni necessarie per effettuare le migliori scelte possibili. Pro.Ri.Ti.S. non prevede la costruzione effettiva del sistema ma la sua progettazione, al cui fine è indispensabile la realizzazione di un percorso conoscitivo condiviso. Le ipotesi allo studio sono due: un sistema informativo classico e un portale dedicato che fornisca informazioni a servizi e utenti.
Il primo incontro, che ha portato tante e diverse istituzioni e organizzazioni a confrontarsi e a misurarsi sulla proposta, ha visto svilupparsi un vivace dibattito tra posizioni diverse. Alla luce di quanto emerso in questa occasione, il lavoro comune sarà ripreso e approfondito per giungere alla co-progettazione del sistema, ma soprattutto alla condivisione di un Protocollo di Intesa, vero punto focale del programma pilota. Il Protocollo,  da sottoporre alle Autorità competenti nella procedure di riconoscimento dei titoli di studio (Ministeri, Università, Uffici Scolastici Provinciali) rappresenta infatti un primo tentativo per raccordare i diversi soggetti che intervengono nelle procedure di riconoscimento dei titoli di studio al fine di agevolare  i titolari di protezione internazionale in questo percorso.

Rifugiati e titoli di studio: percorsi tra norma e realtà

foto di Hans on Experience
Sta volgendo a conclusione la fase di ricerca del progetto PRORITIS. Fase che ha previsto la realizzazione di due indagini: una centrata sulla normativa nazionale e internazionale relativa alle procedure di riconoscimento dei titoli di studio per i titolari di protezione internazionale, realizzata da ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, ed una orientata ad analizzare le prassi territoriali, curata dall’Associazione Parsec – capofila del progetto.

Il progetto ha considerato il riconoscimento dei titoli nella sua accezione più ampia prendendo in considerazione il riconoscimento dei titoli accademici (l’equipollenza), ma anche l’abilitazione alla professione, il riconoscimento a fini concorsuali e il riconoscimento di percorsi parziali al fine della prosecuzione degli studi. Si tratta infatti di percorsi diversi che concorrono in egual misura alla piena integrazione nel mondo del lavoro dei titolari di protezione internazionale. Un’integrazione che tenga nella giusta considerazione competenze e conoscenze acquisite prima dell’ingresso in Italia.
Sono quasi 90 i testimoni intervistati per comprendere percorsi seguiti, criticità e proposte legate alle procedure  di riconoscimento dei titoli di studio dei titolari di protezione internazionale. In questa fase di ricognizione si è cercato di dare spazio ai diversi punti di vista, contattando gli Enti e le Amministrazione coinvolte responsabili del riconoscimento, ma anche servizi che accolgono e accompagnano i titolari di protezione internazionale, così come i diretti interessati. Lo strumento utilizzato per la rilevazione è stato una traccia di intervista semi-strutturata diversificata per i diversi target.
Questi  nello specifico i numeri :
- 8 interviste a persone  appartenenti ai Ministeri competenti (Ministero degli Affari Esteri, Ministero di Grazia e Giustizia, Ministero del Lavoro, Ministero dell’Università e della Ricerca);
- 45 interviste a persone impegnate all’interno di servizi pubblici e privati di tutela, accoglienza e accompagnamento riservati a titolari di protezione internazionale;
- 23 interviste a Uffici scolastici e Universitari;
- 13 interviste a titolari di protezione internazionale che hanno intrapreso o concluso il percorso di riconoscimento dei propri titoli di studio o delle proprie qualifiche professionali.
La ricerca ha avuto un carattere policentrico, toccando ben 9 città italiane: Roma, Milano, Torino, Firenze, Trapani, Venezia, Udine, Trieste, Padova. La selezione delle città ha tenuto conto della presenza di servizi ed esperienze territoriali significative. Lo spostamento verso il Nord del paese è conseguenza di una generica scarsità di esperienze su questo terreno nel Mezzogiorno: il contatto con i territori ha infatti evidenziato una scarsa diffusione di tali procedure nel Sud Italia.
Attualmente i dati raccolti sono in fase di analisi . Alcune prime suggestioni evidenziano:
1. La netta prevalenza, tra i titoli per i quali si intraprende un riconoscimento, delle professioni mediche e sanitarie, conseguenza della maggiore trasversalità di competenze di questo tipo e della maggior richiesta da parte del mercato del lavoro di queste professioni.
2. Una scarsa informazione presso servizi e reti territoriali circa i diversi passaggi da seguire per portare a termine il riconoscimento dei titoli di studio.
3. La difficoltà da parte dei titolari di protezione internazionale a reperire tutta la documentazione richiesta in originale (titolo di studio, percorso di studi, programma degli studi).
4. La preferenza di percorsi alternativi al riconoscimento del titolo, quali l’iscrizione a nuovi corsi di studio in Italia (magari meno professionalizzanti), o l’inserimento lavorativo – quando possibile – presso aziende che tramite la diretta esperienza possano riconoscere le competenze anche in assenza di un riconoscimento formale.

A breve sarà disponibile on line una prima sintesi della ricerca.

martedì 15 febbraio 2011

Riconoscere competenze e professionalità: una strada per l'integrazione

Sono circa 55mila i rifugiati e titolari di protezione internazionale in Italia, persone che fuggono da situazioni di guerra o persecuzione nel proprio paese e che cercano una nuova vita nel nostro paese. Secondo i dati a disposizione dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) tra le persone ospitate nei centri di accoglienza circa il 30% ha un titolo di studio medio alto, un diploma superiore o una laurea, che potrebbe utilizzare come punto di partenza per un percorso di formazione ulteriore o di integrazione lavorativa.
Eppure, la procedura da seguire per il riconoscimento dei titoli è lunga e complessa. L'impossibilità di contatto con le istituzioni competenti dei paesi di origine, rispetto a cui queste persone devono poter proteggere la riservatezza dei loro dati personali, complica ulteriormente il già difficile percorso che affrontano gli stranieri per l'equiparazione di lauree e diplomi.
Il Ministero dell'Interno, attraverso gli ultimi stanziamenti del Fondo Europeo per i Rifugiati, ha finanziato un progetto che ha per obiettivo proprio la realizzazione di un programma pilota che definisca e sperimenti una procedura condivisa da Ministeri, autorità scolastiche e universitarie per il riconoscimento dei titoli di studio dei titolari di protezione internazionale. Il progetto, Pro.Ri.Ti.S., gestito dall’Associazione Parsec in partenariato con ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), cooperativa sociale Co.Ge.S. e Consorzio NOVA, a partire da un’analisi della normativa esistente, realizzerà una ricerca di carattere nazionale per comprendere quale sia la prassi seguita, e quali le criticità presenti nello svolgimento delle procedure.
A tal fine saranno coinvolti nella ricognizione: servizi territoriali, Ministeri, uffici scolastici e universitari, titolari di protezione internazionale. I risultati della ricerca convergeranno nella progettazione partecipata di un sistema informativo dedicato, e saranno la base per la definizione di una nuova procedura.
Il riconoscimento dei titoli di studio rappresenterebbe una grande opportunità per persone che trovano spesso ostacoli all'integrazione nel paese d'accoglienza anche nel semplice rilascio di un permesso di soggiorno. L'integrazione dovrebbe partire – oltre che dalla soddisfazione di bisogni primari sul piano dell’alloggio e del sostentamento – da un percorso verso l’autonomia, in primis in ambito lavorativo, attraverso la valorizzazione di competenze e professionalità.