lunedì 27 giugno 2011

Quando il medico parla arabo

Conferenza finale del progetto ProRiTiS

In Italia i titolari di protezione internazionale (TPI) – rifugiati politici, titolari di protezione sussidiaria, titolari di permesso per motivi umanitari – sono 55mila (UNHCR, 2009). I dati del Sistema di protezione per TPI ci informano che tra le persone in accoglienza, quasi una su tre è arrivata in Italia con un titolo di formazione superiore, una laurea (7%) o un diploma (24%). Eppure, il loro inserimento sociale e lavorativo nel paese appare ancora rispondere alla logica dell'integrazione subalterna, in posizioni occupazionali e retributive dequalificate e dequalificanti.

Come può oggi chi chiede e riceve asilo in Italia far valere le proprie qualifiche e cercare di costruirsi un percorso professionale adeguato al proprio bagaglio di studi e competenze? Come può dare seguito agli studi interrotti a causa delle guerre e delle persecuzioni che lo hanno indotto alla fuga? E come può l'Italia valorizzare le intelligenze, i saperi, le competenze dei titolari di protezione internazionale?

Il progetto ProRiTiS – Programma pilota sulle Procedure di Riconoscimento dei Titoli di Studio dei TPI, realizzato da Associazione Parsec, ASGI, Coop. CoGeS e Consorzio Nova – ha esplorato i percorsi, gli ostacoli, le potenzialità del sistema di riconoscimento dei titoli di studio per i TPI. E' stata condotta un'indagine nazionale, basata su 96 interviste a referenti dei Ministeri e delle Università, a operatori dei servizi territoriali e delle organizzazioni internazionali, e naturalmente agli stessi TPI, protagonisti di vicende burocratiche dalle tempistiche incerte e dall'esito mai garantito. E' stata analizzata la normativa italiana e internazionale, in cerca di proposte che rendano effettive le garanzie contenute nella Convenzione di Lisbona, che prevede per i TPI procedure che agevolino il riconoscimento “anche nei casi in cui i titoli di studio […] non possano essere comprovati da relativi documenti”. E' stata avviata una sperimentazione per il riconoscimento dei titoli, con il coinvolgimento di un gruppo di TPI desiderosi di impiegare le loro lauree e diplomi ottenuti nei paesi di origine per la formazione superiore o l'esercizio della professione.

E’ stato inoltre condotto un percorso di concertazione con diversi stakeholders - referenti di enti istituzionali e servizi coinvolti nella gestione delle procedure di riconoscimento di titoli e qualifiche - che ha portato alla elaborazione di una bozza di Protocollo di Intesa e alla progettazione di un sistema informativo, strumenti per la semplificazione amministrativa e gestionale delle procedure stesse.

Intorno a questo tema e ai risultati di ProRiTiS, il 30 giugno alle 14.30 a Palazzo Valentini interverranno Pier Paolo Savio del Ministero degli Affari Esteri, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Daniela Di Capua dello SPRAR, Carlo Finocchietti del CIMEA, Juri Di Molfetta e Chiara Maugeri del servizio “A Pieno Titolo” di Torino, e i responsabili delle attività di ricerca e intervento realizzate dal progetto: Giulia Rellini e Laura Giacomello dell'Associazione Parsec, Daniela Branciaroli dell'ASGI, Lucia Tormen della Cooperativa Coges. I lavori si apriranno con i saluti istituzionali dell'Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, Claudio Cecchini.

L’incontro costituirà inoltre l’occasione di ragionare insieme sul tema dell’integrazione sociale e lavorativa dei TPI e sulle possibili azioni future che possano contribuire – sviluppando un approccio di rete – a raggiungere tale obiettivo, in un momento storico in cui sembra ragionevole ipotizzare un incremento delle richieste di protezione da parte di donne e uomini costretti a fuggire dalla propria terra d’origine (si pensi alle rivoluzioni in Egitto e nel Maghreb e soprattutto agli effetti che la guerra in Libia sta producendo sui flussi migratori che interessano il Mediterraneo) e che è al contempo caratterizzato da una crisi economica profonda nel paese di “accoglienza”. Appare infatti fondamentale, in questa fase storica, avviare un ragionamento strutturato e condiviso su quale modello di integrazione costruire in Italia, che sia capace di superare una logica emergenziale e assistenzialistica e che punti invece a valorizzare risorse e capacità strutturali, organizzative e dei singoli.

Quando il Medico Parla Arabo

Giovedì 30 giugno 2011

ore 14.30-19.00

Sala della Pace – Palazzo Valentini

Via IV Novembre 119/a Roma

venerdì 24 giugno 2011

Conferenza finale del progetto ProRiTis

Quando il Medico Parla Arabo
Il riconoscimento delle qualifiche dei titolari di protezione internazionale

Progetto ProRiTiS

Progetto co-finanziato dall’Unione Europea e
dal Ministero dell’Interno
Fondo Europeo per i Rifugiati - AP 2009 Azione 1.a

In Italia i titolari di protezione internazionale (TPI) – rifugiati politici, titolari di protezione sussidiaria, titolari di permesso per motivi umanitari – sono 55mila. Di questi, quasi 1 su 3 è arrivato in Italia con un titolo di formazione superiore, una laurea (7%) o un diploma (24%). Eppure, il loro inserimento sociale e lavorativo nel paese appare ancora rispondere alla logica dell'“integrazione subalterna”, in posizioni occupazionali e retributive dequalificate e dequalificanti.
Come può oggi chi chiede e riceve asilo in Italia far valere le proprie qualifiche e cercare di costruirsi un percorso professionale adeguato al proprio bagaglio di studi e competenze? Come può dare seguito al desiderio di proseguire gli studi interrotti a causa delle guerre e delle persecuzioni che lo hanno indotto alla fuga? E come può l'Italia valorizzare le intelligenze, i saperi, le competenze dei titolari di protezione internazionale?
ProRiTiS – Programma pilota sulle Procedure di Riconoscimento dei Titoli di Studio dei TPI, realizzato da Associazione Parsec, ASGI, Coop. CoGeS e Consorzio Nova – ha voluto esplorare i percorsi, gli ostacoli, le potenzialità del sistema di riconoscimento dei titoli di studio per i TPI. E' stata condotta un'indagine nazionale, basata su 96 interviste a referenti dei Ministeri e delle Università, a operatori dei servizi territoriali e delle organizzazioni internazionali, e naturalmente agli stessi TPI, protagonisti di vicende burocratiche dalle tempistiche incerte e dall'esito mai garantito. E' stata analizzata la normativa italiana e internazionale, in cerca di proposte che rendano effettive le garanzie contenute nella Convenzione di Lisbona, che prevede per i TPI procedure che agevolino il riconoscimento “anche nei casi in cui i titoli di studio [] non possano essere comprovati da relativi documenti”. E' stata avviata una sperimentazione per il riconoscimento dei titoli, con il coinvolgimento di un gruppo di TPI desiderosi di impiegare le loro lauree e diplomi ottenuti nei paesi di origine per la formazione superiore o l'esercizio della professione.
E’ stato inoltre condotto un percorso di concertazione con diversi stakeholders - referenti di enti istituzionali e servizi coinvolti nella gestione delle procedure di riconoscimento di titoli e qualifiche - che ha portato alla elaborazione di una bozza di Protocollo di Intesa e alla progettazione di un sistema informativo, strumenti per la semplificazione amministrativa e gestionale delle procedure stesse.

Intorno a questo tema e ai risultati di ProRiTiS, il 30 giugno alle 14.30 a Palazzo Valentini interverranno Pier Paolo Savio del Ministero degli Affari Esteri, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Daniela Di Capua dello SPRAR, Carlo Finocchietti del CIMEA, Juri Di Molfetta e Chiara Maugeri del servizio “A Pieno Titolo” di Torino, e i responsabili delle attività di ricerca e intervento realizzate dal progetto: Giulia Rellini e Laura Giacomello dell'Associazione Parsec, Daniela Branciaroli dell'ASGI, Lucia Tormen della Cooperativa Coges. Apriranno i lavori l'Assessore Claudio Cecchini e un rappresentante del Ministero dell'Interno.

L’incontro costituirà inoltre l’occasione di ragionare insieme sul tema dell’integrazione sociale e lavorativa dei TPI e sulle possibili azioni future che possano contribuire – sviluppando un approccio di rete – a raggiungere tale obiettivo, in un momento storico in cui sembra ragionevole ipotizzare un incremento delle richieste di protezione da parte di donne e uomini costretti a fuggire dalla propria terra d’origine (si pensi alle rivoluzioni in Egitto e nel Maghreb e soprattutto agli effetti che la guerra in Libia sta producendo sui flussi migratori che interessano il Mediterraneo) e che è al contempo caratterizzato da una crisi economica profonda nel paese di “accoglienza”. Appare infatti fondamentale, in questa fase storica, avviare un ragionamento strutturato e condiviso su quale modello di integrazione costruire in Italia, che sia capace di superare una logica emergenziale e assistenzialistica e che punti invece a valorizzare risorse e capacità strutturali, organizzative e di ciascun singolo.

Quando il Medico Parla Arabo
Giovedì 30 giugno 2011
ore 14.30-19.00
Sala della Pace – Palazzo Valentini
Via IV Novembre 119/a Roma

martedì 21 giugno 2011

Storia del Signor C, laureato in Agraria

Per il Signor C la priorità è “sistemarsi”*. Ancora ospite in un Centro di Accoglienza, vuole al più presto trovare casa e lavoro per potersi ricongiungere con la propria famiglia, la moglie e due figli che erano piccoli, quando si son visti l’ultima volta più di 3 anni fa.
Gli avevamo consigliato di procurarsi la Dichiarazione di Valore, della sua Laurea di Primo Livello in Agraria – sarà questa la denominazione italiana di quello che a voce ci ha detto di aver studiato? -
Così lui si era mosso in questo senso, attivando la propria rete nel Paese di origine, affinché qualcuno si recasse presso l’Ambasciata con il suo documento originale per richiedere la Dichiarazione di Valore. Un grave errore che non avremmo commesso se all’epoca avessimo saputo ciò che sappiamo ora: è molto più veloce, sicuro ed economico far spedire solo il titolo in originale, e poi richiedere la Dichiarazione di Valore tramite gli uffici del Ministero degli Affari Esteri. Purtroppo così ci siamo incagliati in spese eccessive e tempistiche poco prevedibili. Ci vogliono quasi due mesi prima che i documenti siano pronti. Ci spiega che la persona incaricata di seguire la pratica nel Paese di origine non abita vicino alla città dove risiede l’Ambasciata. E ciò allunga i tempi –e i costi? –
La semplice spedizione dei documenti presentati in loco tramite l’Ambasciata è una via che non può essere percorsa – avremmo dovuto farci spedire l’originale e poi richiedere la Dichiarazione di Valore tramite il MAE –
Il momento cruciale si avvicina. Allo stato attuale del percorso, il Signor C ha alle spalle una spesa di circa 300 euro, e sta per ricevere gli ambiti documenti. E’ ora quindi di domandarsi: “e poi?”.
Ci chiede se l’ipotesi di continuare a studiare sia realistica o meno. Una domanda alla quale non possiamo rispondere: i costi dell’iscrizione universitaria sono imprevedibili, chiedendo in questo periodo l’equipollenza, dovremmo sapere entro settembre quanti crediti formativi vengono decurtati dal programma di studio, o se può iscriversi direttamente ad una laurea magistrale. Il Master nel caso del Signor C è fuori discussione, a causa dei costi. Il riconoscimento del titolo gli serve per trovare un lavoro che gli serve per mantenere la sua famiglia ora che sta per chiedere il ricongiungimento, non può diventare una spesa troppo onerosa.
Il Signor C nel frattempo sta cercando una casa adatta ad ospitare 4 persone, dovrà reperire tutte le informazioni che riguardano la scuola, per i suoi figli. Durante l’ultimo colloquio confessa di riflettere, ultimamente, sull’opportunità di seguire un corso serale presso un Istituto Tecnico. Un Diploma, insomma, mi spiega con sguardo interrogativo. 

* Storia raccolta nell'ambito della sperimentazione di Venezia

La storia del Signor A, Ingegnere

Il Signor A ha le idee molto chiare rispetto al proprio futuro, o almeno rispetto a quello che può o non può ottenere con le proprie credenziali*. Laureato in Ingegneria, in Italia da quasi 2 anni, parla un buon italiano – che vantaggio – ed ha già sostenuto l’esame di Terza Media. Lavora, non nel proprio settore, ma gode di una certa tranquillità.
Nel periodo che ha trascorso in un Centro di accoglienza, si è dedicato all’apprendimento della lingua e alla richiesta nel proprio Paese di origine di alcuni documenti preziosi. Ha già con sé la Dichiarazione di Valore, l’elenco degli esami sostenuti in traduzione legalizzata, il certificato di Laurea in traduzione legalizzata, e 13 attestati giunti via fax che attestano la partecipazione a corsi di aggiornamento effettuati durante gli anni in cui ha lavorato. 11 di questi sono in inglese, 2 nella lingua madre. L’ottenimento di questi documenti gli è costato circa 300 euro. Ora dobbiamo farli fruttare.
Decidiamo insieme di procedere su 2 fronti: il primo riguarda la possibilità di vedersi riconosciuto il titolo professionale dal Ministero, il secondo richiedere l’equipollenza presso l’Università, e poi decidere se la parte integrativa che verrà proposta è sostenibile, oppure se è preferibile iscriversi direttamente ad un Master.
Il nostro viaggio parte a febbraio 2011. Ci richiede più o meno un mese di tempo, l’ottenere sia dal Ministero competente che dall’Università le informazioni dettagliate che ci servono per verificare la completezza dei documenti. E questo perché dobbiamo incrociare le disponibilità, a livello di tempi e orari, degli organi interpellati e dell’interessato. Poi c’è il tempo tecnico che può servire ad una persona che padroneggia l’italiano standard ma non quello legato alla burocrazia, per decifrare le risposte ottenute, districarsi nel mare di documenti richiesti, capire ad esempio presso un tribunale se il certificato penale richiesto è l’atto notorio, se il fatto che valga per l’Italia e non per il Paese di origine è un problema. Il certificato penale serve per richiedere il riconoscimento professionale, dovrebbe essere rilasciato dall’autorità competente nel Paese in cui è stato acquisito il titolo professionale. Certo per un Rifugiato Politico sarebbe una richiesta contraddittoria…
Allo stato attuale del nostro viaggio, attendiamo dal Paese di origine un documento che attesti che il Signor A ha lavorato per più di due anni per l’azienda XX, e con quali mansioni. Dei 13 attestati, poiché non è in possesso degli originali, azzarderemo una traduzione, che non potremo autenticare e che quindi avrà valore informativo – avrà valore? – e che allegheremo alla domanda. L’impressione in alcuni momenti è di giocare una partita senza conoscere bene le regole del gioco. “Ogni caso è a sé” è una delle risposte che riceviamo più frequentemente, quando cerchiamo di capire se ha senso spedire dei documenti in fotocopia con una traduzione casalinga.
Per quanto riguarda la richiesta di equipollenza, la domanda è stata inoltrata all’Università. Manca la descrizione dei programmi dei vari corsi, stiamo pensando a come fare per ottenere un documento che spesso nelle università extra Europee non esiste.
Il Signor A nel frattempo lavora, fa un lavoro che non ha nulla a che vedere con l’ingegneria, lavora con la mediazione. E riflette. Forse un Master potrebbe essere più qualificante e semplice da seguire. Un preventivo delle spese universitarie è impossibile, si saprà solo dopo l’eventuale iscrizione a quanto ammonta la spesa annuale.
Nel frattempo il Signor A ha cambiato città, forse nella nuova città troverà altre opportunità, ancora una volta completamente diverse da quello che stava cercando.

* Storia raccolta nell'ambito della sperimentazione di Venezia

Percorsi di riconoscimento: la sperimentazione di Venezia

Nell’ambito del progetto Proritis è stata attivata dalla cooperativa Coges di Venezia una sperimentazione di percorsi di riconoscimento di titoli di studio con un gruppo di TPI. Pubblichiamo un resoconto dell’esperienza.

Il gruppo dei TPI

La sperimentazione ci ha portati ad entrare in contatto con 7 Titolari di Protezione Internazionale (TPI) che avevano precedentemente espresso il desiderio di veder riconosciuto il proprio titolo di studio. La scelta dei casi è stata fatta optando per uno spettro di situazioni che fosse il più ampio possibile, negli obiettivi e nelle condizioni di partenza. La definizione di questi due elementi fondamentali non è stata semplice.

Le condizioni di partenza

Nella rilevazione dei dati riguardanti la scolarizzazione, non è immediato il passaggio da titoli di studio conseguiti nel Paese di origine e corrispondente titolo italiano. La situazione si complica ulteriormente perché è soggetta a variabili che non possiamo trascurare: l’utente che abbiamo di fronte conosce il sistema scolastico italiano? E la denominazione dei titoli? Possiamo affermare con certezza a che titolo italiano corrisponda quello da lui posseduto, sulla base del semplice racconto che ci viene fatto?
Questi dubbi vengono sciolti se il TPI è già in possesso della Dichiarazione di Valore e vengono in parte chiariti se è in possesso del titolo, in originale o in fotocopia, meglio se in una lingua che non richieda l’intervento di un traduttore. Se poi il titolo corrisponde ad un diploma superiore, questi passaggi possono essere demandati all’Ufficio Scolastico Provinciale di competenza. Se il titolo corrisponde ad una laurea, dobbiamo sperare che il suo possessore abbia una certa dimestichezza con le università italiane e i vari corsi di laurea.
I primi fondamentali colloqui sono stati interamente dedicati a questo confronto, al racconto, alla visione dei documenti posseduti, alla richiesta di procurarne di integrativi.
In questo lungo momento di gestazione, e da quanto emerso dai colloqui, si è fatta chiara per i TPI coinvolti, l’esigenza di una nuova definizione di sé, rispetto a ciò che erano “prima” (es. “ero ingegnere”): una ridefinizione della propria identità non in assoluto, ma in relazione all’attuale condizione.

Gli obiettivi

Da qui è scaturita la seconda importante questione: quella riguardante l’obiettivo. La sua definizione ha un aspetto identitario da un lato, e funzionale dall’altro, quasi utilitaristico. Al più vago “vorrei migliorare le mie condizioni di vita” possiamo qui affiancare l’aspetto pragmatico del “avere riconosciuto il mio titolo mi aiuterà a trovare lavoro”. In alcuni casi, quando le difficoltà incontrate durante il percorso sono state valutate troppo elevate rispetto alla possibilità realistica di riuscita del progetto – “trovare lavoro” in questo caso – il percorso è stato abbandonato. Si tratta di 3 casi su 7, nello specifico di un diploma di scuola superiore (in formato pdf, nell’impossibilità di contattare il paese di origine, dove nemmeno l’Ambasciata italiana ha più sede), di un diploma tecnico (non reperibile, sono invece in mano del TPI alcuni documenti in fotocopia, in lingua inglese, che testimoniano la sua attività lavorativa nel settore), una laurea in Agraria (non reperibile, il TPI ha con sé la fotocopia del certificato di iscrizione all’Università).
Oltre alla complessità del percorso e ai tempi necessari, la mole di documentazione da produrre e la mancanza di documenti in originale ha scoraggiato la prosecuzione. Va detto inoltre che di questi 3 casi, 2 sono TPI in fase di sgancio da un Centro di Accoglienza, e quindi con l’esigenza di trovare una sistemazione abitativa e lavorativa adeguata, e uno è padre di famiglia con esigenze quotidiane molto pressanti.
Gli altri 4 casi riguardano TPI in possesso di lauree, con una forte motivazione al riconoscimento, anche parziale, del loro percorso scolastico precedente. Un caso viene abbandonato per totale mancanza di documenti, il TPI già da anni in Italia dichiara di voler comunque tentare il riconoscimento dopo aver ottenuto la cittadinanza, quando gli sarà possibile contattare l’Ambasciata italiana da cittadino italiano. Due richieste di equipollenza sono già state presentate presso due diverse università: una per una laura in Ingegneria, completa in tutta la documentazione; verrà inoltrata anche domanda di riconoscimento professionale presso il Ministero. La seconda è stata presentata ma con i documenti ricevuti solo via fax: l’obiettivo è la prosecuzione degli studi in Economia.
Per quanto riguarda l’ultimo caso, una laurea di primo livello in Agraria, il TPI è in attesa della Dichiarazione di Valore che già aveva chiesto autonomamente nel Paese di Origine. La prosecuzione di questo percorso è strettamente collegata alle condizioni lavorative e economiche al momento della ricezione dei documenti.

L’esperienza di accompagnamento

L’esperienza di accompagnamento in questi percorsi, ha per ora messo in luce alcuni dati importanti:
  • le molte difficoltà legate alla procedura stessa, prima fra tutte la mancanza spesso totale o parziale della documentazione richiesta in originale, seguono poi tempi, costi, carenza di informazioni accessibili o di chiarezza anche linguistica delle informazioni
  • la fondamentale presenza da un lato di operatori e personale adeguatamente formato in proposito, che possano guidare il TPI in modo efficace, e dall’altro di opuscoli informativi facilmente fruibili anche dai TPI stessi.
  • la mancanza di una rete nazionale di scambio di informazioni e buone pratiche, che permetterebbe di portare a termine altrove un percorso iniziato in una città, vista l’alta mobilità che caratterizza i TPI.
Per quanto riguarda gli esiti delle sperimentazioni ancora in corso, attendiamo i tempi tecnici delle università, per poi valutare in base alle risposte ottenute l’effettiva sostenibilità della prosecuzione degli studi.